di Cinzia Marchegiani
All’età di 87 anni il Boss Totò Riina è morto alle prime ore di questa mattina nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma.
L’Italia intera accoglie questa notizia ognuno commentando con le proprie sensibilità la fine di una pagina di una storia e un personaggio crudele fino alla fine dei suoi ultimi giorni.
Aveva indignato la notizia della richiesta effettuata a luglio di questo anno di un differimento di pena da parte dei suoi legali per motivi di salute. L’Istanza fu respinta dal Tribunale di Sorveglianza. Totò Riiina, nonostante la sua detenzione al 41 bis era ancora il capo di Cosa nostra. Riina stava scontando 26 condanne all’ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli orribili attentati del 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i suoi nemici numero uno.
Stragi di inaudita violenza sono la sua firma. Con un’esplosione che squarciò l’autostrada come un giocattolo di carta, il boss, capo dei capi, Totò Riina il 23 maggio del ’92 fece saltare Giovanni Falcone con 5 quintali di tritolo mentre era nella macchina blindata presso l’uscita di Capaci.
Totò Riina, attende solo 57 giorni giorni dall’uccisione di Falcone per uccidere il suo secondo nemico magistrato. Il 19 luglio del ’92 Riina fa uccidere Paolo Borsellino mentre andava a trovare la madre in via Mariano D’Amelio, a Palermo. L’orologio segna le ore 16:58 quando un’esplosione scuote l’intera città. L’Italia rimane agghiacciata da tanta violenza contro due magistrati e lo stesso Stato.
Ma sconvolge Riina anche per il suo pentimento mai arrivato. Mai un cenno nonostante anche la sua degenza.
Tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell’omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. Infatti si ricorda che proprio a febbraio scorso, Riina parlando con la moglie in carcere diceva: “Sono sempre Totò Riina, farei anche 3.000 anni di carcere”.
Si legge che proprio ieri il ministro della Giustizia ha concesso ai familiari un incontro straordinario col boss quando ormai le condizioni di speranza di vita erano diventate labili e disperate.
Fece discutere la puntata di Porta a Porta dove Bruno Vespa ospitò il figlio, Salvo Riina. Riecheggiano come pugnali le sue parole:
“Amo mio padre non sta a me giudicare. Amo mio padre, amo la mia famiglia, al di fuori di tutto quello ci hanno contestato, io non giudico, per quello c’è lo Stato, ci sono i giudici; la mia famiglia, mio padre mi hanno insegnato tante cose, il rispetto della famiglia, dei valori, della tradizione, la persona che sono la devo a loro“.