di Cinzia Marchegiani
Polemiche sui social, polemiche ovunque da quando si è scoperto che dal 1° gennaio 2018 gli italiani devono pagare una tassa sui sacchetti (dichiarati biodegradabili) distribuiti nei supermercati necessari per l’acquisto di frutta e verdura.
Su questa vicenda interviene in modo preciso e critico Marco Tiberti, Responsabile Agromafie Nazionale in Gruppi Ricerca Ecologica e Responsabile Dipartimenti Alimentazione e Acque in European Consumer che insieme a Pietro Massimiliano Bianco consulente scientifico di GRE/EC ha realizzato un Documento/Comunicato Stampa non solo utile ai cittadini indignati ma indirizzato soprattutto a chi amministra e legifera in questo paese dal titolo assolutamente non interpretabile:
“La truffa dei sacchetti di plastica:
Il governo Gentiloni, con un emendamento nel Dl Mezzogiorno durante il passaggio al Senato ha imposto dal 1 gennaio ai consumatori italiani che acquistano frutta e verdura di confezionarle in sacchettini di plastica definita ‘biodegradabile e compostabile’ rigorosamente usa e getta e a pagamento. Ma la direttiva comunitaria del 2015[1] si focalizza sulle borse in plastica per insacchettare la spesa (quelle che in Italia sono fuori legge già dal 2012) e precisa la possibilità di escludere le bustine trasparenti per frutta e verdura. Si chiede, infatti, agli Stati di attuare misure per ridurre l’uso di sacchetti di plastica “di materiale leggero” e non ultraleggero.
Solo la Francia ha imboccato la stessa strada dell’Italia; la maggior parte degli stati membri si è limitato alle buste per la spesa in plastica tradizionale, mettendole a pagamento. Inoltre l’Unione Europea non ha affatto imposto all’Italia di mettere un prezzo sui sacchetti di plastica ultraleggeri[2].
In tutta Italia sono oltre 150 le aziende di questo settore con circa 4mila dipendenti e 350 milioni di fatturato. Leader italiano del comparto è la piemontese Novamont guidata da Catia Bastioli, che ha inventato la bioplastica biodegradabile e compostabile Mater-bi. Si segnala che Bastioli nel 2011 ha partecipato alla Leopolda e nell’aprile 2014, due mesi dopo l’insediamento di Matteo Renzi Palazzo Chigi, è stata da lui nominata presidente della partecipata pubblica Terna[3].
In Italia, nonostante la carenza dei controlli, l’uso di buste della spesa si è dimezzato in favore di borse riutilizzabili. Ma al momento sull’uso di queste ultime per l’ortofrutta rimane una certa confusione: escluso dal ministero dell’Ambiente per motivi igienico-sanitari e ammesso da quello dello Sviluppo economico. Si attende ora il pronunciamento del ministero della Salute. Dal punto di vista ecologico sarebbe ovviamente opportuno favorire comunque il riciclo dei contenitori per gli orto-frutticoli pur in presenza di ovvio rispetto delle norme sanitarie.
Non sufficientemente approfonditi sono stati gli aspetti ambientali della questione. La bioplastica, secondo la definizione conferita dall’European Bioplastics deriva da materie prime rinnovabili come amido di mais, grano, latte o topica. Secondo la legge italiana attualmente la sostituzione del petrolio è solo parziale: gli attuali sacchetti in bioplastica, , devono contenere il 40% di materia prima rinnovabile dal 2018 e la quota dovrà essere portata al 50% dal 2020 e al 60% dal 2021. Nella bioplastica Apilon 52 Bio[4], il contenuto di materie prime rinnovabili arriva al 70 per cento, offrendo caratteristiche e qualità analoghe a quelle dei tradizionali TPU da fonti sintetiche.
Le plastiche biodegradabili e compostabili sono principalmente poliesteri ottenute da carbonio non fossile, con struttura chimica che le rende aggredibili dai microrganismi, ma solo nell’ambiente giusto, ad esempio un ambiente compostante dove viene utilizzato dai microrganismi presenti nel compost come una qualsiasi fonte di carbonio. Il materiale prima si spezzetta in pezzi piccolissimi e poi viene bioassimilato.
La Novamont, in una conferenza delle Nazioni Unite a dicembre 2017 ha presentato i suoi test di biodegradabilità delle sue bioplastiche in acqua marina affermando che: ‘Alti livelli di biodegradazione sono stati raggiunti in tempi relativamente brevi (meno di 1 anno), suggerendo che il Mater-Bi può essere adatto alla realizzazione di oggetti in plastica con alto rischio di dispersione in mare (ad esempio, attrezzi da pesca)’.
Vi sono bioplastiche che non mostrato vantaggi ecologici rispetto alle plastiche di derivazione combustibile in relazione al tipo di polimero organico impiegato, la sua origine e il tipo di lavorazione richiesto. Biodegradabili sono quelli che rispettano tutti i criteri delle norme scientificamente riconosciute per la biodegradabilità e la compostabilità dei prodotti (norme EN 13432 per l’Europa).
Ma, ad esempio, potenziali effetti di alcune tipologie di borse biodegradabili sulle praterie dei fondali sabbiosi, gli ecosistemi più comuni e produttivi nelle zone costiere, sono stati ignorati. Non tutti i sacchetti sono velocemente degradabili nei sedimenti marini e possono alterare la vita sul fondale (Balestri et al., 2017). E sono del tutto ignoti per alcune tipologie la reale velocità di biodegradabilità nelle varie condizioni ambientali e di compostaggio. Non sempre inoltre sono disponibili dati sulla possibile creazione di metaboliti tossici e nocivi per gli organismi acquatici e del suolo o bioaccumulabili nelle catene alimentari.
Non va trascurata la questione culturale. Gli italiani, almeno in alcuni territori sono grandi “spargitori” di contenitori di plastica (basta frequentare una spiaggia libera d’estate, visitare un bosco vicino a un area urbana o recarsi in alcuni parchi pubblici). Avere a disposizione prodotti che per un errata propaganda dei mass-media viene percepita come biodegradabile potrebbe addirittura peggiorare questa orribile abitudine”.
Marco Tiberti sintetizza nelle sue Conclusioni:
“Nonostante le informazioni diffuse da vari media filo-governativi[5] nessuna norma europea impone l’uso di sacchetti biodegradabili a pagamento per gli orto-frutticoli. Nella Direttiva (UE) 2015/720 si chiede agli Stati di attuare misure per ridurre l’uso di sacchetti di plastica “di materiale leggero” e non ultraleggero. La norma contenuta nel decreto legge Mezzogiorno prevede che si applichi un prezzo ai sacchetti sotto i 15 micron che rientrano nella categoria ultraleggeri. La direttiva Ue del 2015 dice espressamente che ‘le borse di plastica in materiale ultraleggero possono essere escluse dagli obiettivi di utilizzo nazionali’ e quindi possono essere esentate da sovraccosti.
Inoltre le garanzia di ecologicità dei sacchetti di plastica sono tutt’altro che dimostrate e la normativa appare da questo punto di vista assai carente e frutto dell’improvvisazione.
Favorire l’usa e getta può determinare lo stesso problemi ecologici, anche in relazione alla creazione di un comune paradigma di sostenibilità. In particolare non sono state affatto approfondite le questioni relative all’ecocompatibilità dei sacchetti in relazione alla tipologia e all’impatto ambientale anche indiretto. Molte bioplastiche hanno, inoltre, un peso notevole potenziale nelle questioni relative ai prezzi dei prodotti agricoli essendo di derivazione vegetale.
Da questo punto di vista un’opportuna visione olistica, legata al contesto globale, dovrebbe in primis evitare la circolazione sul mercato di bioplastiche derivate da prodotti alimentari (mais, canna da zucchero, composti proteici di origine vegetale, glutine) che, stante i rischi di carestia globale e gli elevati prezzi degli alimenti in molte nazioni, devono essere unicamente destinate all’alimentazione umana e animale. Si riduce così notevolmente l’impatto sui sistemi naturali e la biosfera delle attività agro-pastorali, attualmente, insieme ai cambi climatici, responsabili dei maggiori impatti areale sugli ecosistemi. Ricordiamo che gli ecosistemi naturali, per la loro fondamentale capacità tampone proprio degli eccessi climatici, e, in presenza di una gestione ecocompatibile oltre che socio-sostenibile, per la disponibilità temporalmente illimitata di risorse utili anche alla sopravvivenza umana, sono di fatto la base della vita sulla terra, compresa quella umana.
I fattori da considerare in un opportuna gestione della filiera della plastica ecologica, sono: uso di risorse idriche; trasporto delle biomasse; consumo di energia; deforestazione; uso degli OGM. Va tenuto presente che gli idrocarburi sono necessari anche per alimentare le macchine agricole, produrre fertilizzanti e pesticidi e per la produzione e il trasporto delle materie prime organiche per la produzione di bioplastica.
Stesso discorso per la pasta di cellulosa, come nel caso dei pellets la normativa deve imporre l’assoluta ecocompatibilità dei prodotti che non devono provenire da aree in deforestazione o dal saccheggio indiscriminato delle risorse forestali di paesi terzi e devono rispettare le, pur deboli, linee guida del protocollo di Kyoto.
È, infine, necessaria una circolare ministeriale che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili, come ad esempio le retine, pratica già in uso nel nord Europa. Il problema del materiale portato nei supermercati dall’esterno è, stante una possibile contaminazione, soprattutto nel contatto con gli alimenti che potrebbero essere presi da terzi. Se gli avventori dei supermercati evitassero di porre in contatto le buste per frutta e ortaggi con quanto potrebbe essere preso da terzi il problema sanitario sarebbe risolto”.
Conclude Tiberti :“Nessuno di questi fondamentali argomenti ci sembra sia stato sufficientemente trattato nella normativa imposta dal governo italiano”.
Riferimenti bibliografici
Balestri E., Menicagli V., Vallerini F., Lardicci C., 2017. Biodegradable plastic bags on the seafloor: A future threat for seagrass meadows. Science of The Total Environment, 605–606: 755-763.
Allegato: Impatto ecologico delle diverse Tipologie di bioplastiche
Bio plastica a base di amido. Semplice da produrre; è possibile produrla in casa[6]. Per la produzione di Ecoflex è spesso miscelata con poliesteri biodegradabili (ad es. policaprolattore). Tuttavia la base di partenza è un carboidrato di origine vegetale e quindi la produzione può sottrarre potenziali alimenti per la popolazione umana e animale, determinando un incremento delle superfici agricole a detrimento degli ecosistemi naturali.
Bio plastica a base di cellulosa. Prodotta con esteri della cellulosa compresi l’acetato di cellulosa e la nitrocellulosa. Si realizza con i derivati della cellulosa, compresa la classe di composti celluloide, considerati i primi materiali termoplastici. L’unica cellulosa a basso impatto è quella proveniente dal riciclo. Il taglio forestale determina infatti inevitabilmente forme di degrado ambientale. Mentre in determinate condizioni le piantumazioni per cellulosa possono sottrarre territori agricoli da destinare a coltivazioni alimentari.
Bio plastica a base di proteine. Glutine di frumento, caseina e altri fonti proteiche, possono dare vita a materiali plastici di derivazione rinnovabile completamente compostabili. la base di partenza sono proteine di origine vegetale o animale; la produzione può sottrarre potenziali alimenti per la popolazione umana e animale, determinando un incremento delle superfici agro-pastorali a detrimento degli ecosistemi naturali.
Poliesteri alifatici. Composti bio alifatici come il PHB (poli-3-idrossibutirrato), il PHA (poliidrossialcanoati), PHV (polidrossivalerato), il PHH , il PLA (acido polilattico) e il poliammide 11 (PA11). L’acido polilattico (PLA) è adatto alla sostituzione della Pet ed è usato per la produzione di bicchieri, bottiglie e altri contenitori e fibre. Si tratta
Polietilene Organico. può essere prodotto, oltre che da combustibili fossili dalla fermentazione alcolica di materie prime agricole come la canna da zucchero o il mais. Il gruppo chimico brasiliano Braskem ha sviluppato un polietilene a partire dalla fermentazione batterica della canna da zucchero che, tra le altre cose, andrebbe a catturare l’anidride carbonica presente in atmosferica.
Bio plastica geneticamente modificata. Esiste un mais modificato geneticamente per essere più adatto alla produzione di plastica biodegradabile. A nostro parere qualsiasi prodotto Ogm è da escludere in quanto rappresenta una minaccia alla salute ambientale e umana oltre che delle filiere produttive sostenibili. Tale minaccia è peggiore di quella rappresentata dai pesticidi in quanto si tratta di “prodotti” estranei ai sistemi biologici che possono alterare irreversibilmente la composizione genica degli organismi viventi.
Fonti
[1] Direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (Testo rilevante ai fini del SEE. In questa direttiva, Bruxelles chiede agli Stati membri di ridurre il consumo di buste di plastica “normali” facendo in modo che “l’utilizzo annuale non superi 90 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019 e 40 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2025”, o “strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia“.
[2] http://www.today.it/economia/sacchetti-frutta-a-pagamento-direttiva-ue.html
[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/03/sacchetti-ortofrutta-a-pagamento-il-divieto-di-quelli-in-plastica-non-lha-imposto-la-ue-la-decisione-e-del-governo/4070201/
[4] Prodotta dall’azienda italiana Apinat
[5] https://www.democratica.com/interviste/sacchetti-frutta-verdura-bufale/
[6] http://www.scuolalocale.it/2016/04/21/come-produrre-la-plastica-a-casa-nostra-in-7-semplici-step-/284?e=mattei
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