di Luca Marco Comellini
Con una direttiva del 17 luglio 2015 (diramata nei primi mesi del 2016) il Capo di stato maggiore della difesa, generale Claudio Graziano, ha deciso di tenersi ben stretta la sua “auto blu” (la sua e quelle di molti generali e ammiragli) nonostante il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, nel corso di una conferenza stampa svoltasi al termine di una delle prime riunioni del suo esecutivo, quella del 18 aprile 2014, avesse convintamente annunciato “l’ora X” per «Un’Italia dove ci sono meno auto blu», aggiungendo che «ogni ministero potrà avere al massimo 5 auto blu».
Belle parole ma nei fatti il documento ci rivela che quel “#byebyeautoblu” twittato da Palazzo Chigi durante la conferenza del Premier era solo l’ennesimo spot pubblicitario. L’ennesimo annuncio di un buon principio affidato alla stampa e ai social ma ancora da realizzare.
Il documento in questione è stato diramato dallo stato maggiore dell’Esercito il 10 febbraio 2016, «per conoscenza e per l’immediata applicazione», e nella premessa che illustra i motivi della disposizione vergata dal Capo di stato maggiore della difesa si legge chiaramente che «Il quadro normativo di riferimento, per la specifica materia, è stato aggiornato di recente dai provvedimenti contenuti nel D.P.C.M. del 25 settembre 2015» e poi prosegue: «In attuazione delle misure contenute in tali provvedimenti e alle disposizioni impartite dall’Autorità politica finalizzate alla riduzione e alla razionalizzazione degli oneri di spesa nel settore delle autovetture di servizio (…) con criteri sempre più rispondenti ai doveri di trasparenza, razionalizzazione, efficienza, economicità e rispetto per l’ambiente che il particolare momento sociale richiede».
Già dal primo capitolo della sintetica disposizione, di sole 12 pagine, si capisce nulla o poco è cambiato rispetto al passato. La classificazione del tipo di servizio a cui è adibito l’automezzo fa la differenza solo per quanto riguarda i mezzi di trasporto collettivi destinati al personale e ai civili ma, per il resto l’odioso privilegio, seppure in modo non troppo chiaro e con alcune blande limitazioni, resta intatto per i vertici militari e per quelli degli alti comandi. Da una parte ci sono le automobili destinate ai servizi istituzionali delle autorità di vertice militare che le possono utilizzare direttamente per esigenze di servizio «compresi gli accompagnamenti al e dal luogo di lavoro». Dall’altra, invece, ci sono quelle destinate ai servizi istituzionali degli Enti, Comandi e Organismi la cui assegnazione è curata dagli stati maggiori della Difesa, delle singole Forze armate e dell’Arma dei carabinieri e che «non possono essere assegnati a ‘persone determinate’, ma devono essere utilizzati per tutte le esigenze di servizio». Tuttavia, scorrendo qualche riga in avanti salta fuori che anche per questa seconda tipologia di autovetture «per esigenze di prontezza d’impiego, flessibilità di orario, mobilità e reperibilità» limitatamente ai servizi in sede, cioè quelli entro un raggio di 40 Km dalla caserma o dall’ufficio, «può essere effettuato il trasporto singolo».
Ma c’è di più. Al punto successivo scopriamo che anche in questi casi è consentito «lo spostamento tra abitazione e luogo di lavoro» che però «non può avere carattere di continuità ovvero essere effettuato in relazione al normale orario di lavoro». Con largo anticipo sull’approvazione della Direttiva targata stato maggiore della Difesa, il 25 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, comunque a distanza di parecchi mesi dalla conferenza stampa e il lancio dei messaggini inviati tramite Twitter, aveva già emanato un suo decreto nel quale, al primo comma dell’articolo 3 (Modalità di utilizzo delle autovetture di servizio), si legge chiaramente che «L’utilizzo delle autovetture di servizio a uso non esclusivo a disposizione di ciascuna amministrazione (…) è consentito solo per singoli spostamenti per ragioni di servizio, che non comprendono lo spostamento tra abitazione e luogo di lavoro in relazione al normale orario di ufficio» e poi ancora «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 di assegnare autovetture di servizio in uso esclusivo a soggetti diversi da quelli individuati dall’art. 2, comma 2…» cioè solo al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri.
Per quanto riguarda il parco auto di servizio il Ministero della Difesa alla data del 5 maggio 2015 poteva contare su 330 autovetture di varie cilindrate, come indicato nella seguente tabella (pubblicata sul sito web della difesa), mentre lo scorso 30 settembre le auto sono diventate soltanto cinque come aveva annunciato il Premier. Un numero che però non trova riscontro nel corposo elenco delle autorità di vertice e degli alti comandi riportato nell’ “Allegato A” della Direttiva approvata dal generale Graziano e che hanno a disposizione le auto blu/argento metallizzato di servizio adibite al trasporto dei tanti generali e ammiragli che ci lavorano. Infatti, proprio nel primo capitolo del diktat di Graziano, viene chiarito che, comunque «le autovetture ad oggi in servizio» non rispondenti ai limiti imposti dalla legge, cilindrata superiore ai 1600 cc,«potranno essere utilizzare fino al termine della loro vita tecnica». Tra gli obiettivi che si propone di raggiungere la direttiva merita una particolare menzione la disposizione che stabilisce che «in caso di acquisizione di autovetture la scelta della livrea dovrà rispettare la colorazione “argento metallizzato”». La ragione di questa decisione non è chiara ma forse qualche mente illuminata avrà pensato che il cambiamento di colore delle auto blu potesse confondere i cittadini contribuenti e far diminuire il loro senso di indignazione verso quello che è tra i più odiati privilegi della casta?
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Fonte ministero difesa