venerdì, 22 Novembre 2024

Pontelandolfo… per chi suona la campana?

 

 

di Angelo Ivan Leone

 

Tra tutti gli eccidi che sono stati perpetuati in terra nostra da parte dei cosiddetti fratelli è giusto e doveroso, ricordare questo nostro Paese martoriato con le vicende di questo orrendo crimine avvenuto proprio all’alba dell’Unità.

L’ANTEFATTO

Ed eccoci, quindi, a Pontelandolfo un paesino, oggi del beneventano, in cui, nel 1861, si era maggiormente ostili ai piemontesi che, entrati per liberare, ci si accorgeva sempre più di come intendessero la loro liberazione, di cui questo paese fu un tragico ed eclatante esempio.

Le cose iniziarono con l’associazione di un arciprete patriota borbonico: Epifanio De Gregorio a un brigante Cosimo Giordano arrivato ad essere tale solo per difendere l’onore della sorella dalle mire di un notabile locale. E furono proprio contro questi notabili locali che i due si allearono. I notabili, infatti, erano passati massicciamente dalla parte dei piemontesi, come dappertutto era avvenuto, in Sicilia la stessa mafia aveva dato queste indicazioni, un po’ come dopo quasi un secolo dirà di votare DC o dopo un secolo e mezzo da questi avvenimenti di votare Forza Italia, tanto per dare una giusta ragione a Marx e a Gramsci sulla loro teoria della ciclicità tragica della storia.

Il brigante riuscì a prendere il Paese con solo 30 compagni, anche se accolto da centinaia di popolani e si diresse verso il corpo di guardia locale, uccidendo i pochi ufficiali rimasti e distruggendo i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi, rimpiazzandoli con quelli del loro re. Furono, infine, saccheggiate e bruciate le case e le proprietà dei ricchi schierati con i Savoia.

Quest’atto di pulizia totale, etica e sociale, indusse anche la vicina Casalduni a ribellarsi e la cittadina passò come Pontelandolfo nelle mani dei propri abitanti che la volevano borbonica. A Napoli, intanto, per evitare di essere ricacciati in mare i piemontesi, non più garibaldini ma regolari, furono costretti a schierare 400 soldati britannici, scesi dalla nave Exmouth, questo per confermare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che i piemontesi non fecero mai tutto da soli in quella leggenda che si suole chiamare “l’impresa dei mille”.

Cialdini, il luogotenente piemontese, decise, così, di intervenire in modo atroce, rapido e spietato. Ordinò ai savoiardi del generale de Sonnaz (quanto era poco italiano e molto francese questo esercito piemontese!) di muovere da Campobasso truppe di bersaglieri e carabinieri, oltre ai soldati del 36° di Fanteria. Arrivati alla prova delle armi, nei pressi di Pontelandolfo, una quarantina di savoiardi dovettero indietreggiare di fronte ai briganti come mille volte fecero, prima dell’aiuto straniero e mafioso, e cercarono scampo a Casalduni, dove trovarono, invece, la loro fine.

Così i piemontesi furono disarmati dall’esercito brigantesco-napoletano comandato dal sergente Angelo Pica detto “Picuozzo”, li incatenarono e sfilarono per Casalduni un po’ come i generali romani… e fu il trionfo.

Vennero saldati i conti interni e il vicesindaco notabile Nicola Romano venne legato ad un albero e fucilato. La folla di Casalduni voleva anche la morte per i 40 soldati piemontesi, tuttavia Picuozzo li considerava solo meri esecutori degli ordini e si pronunciò, come i suoi uomini, per salvarli. Ma i cittadini di Casalduni, il popolo del Sud, non sentirono ragioni, spogliarono i soldati dalle loro odiate divise e li fucilarono in Largo Spinella.

Erano le 22 e 30 dell’11 agosto del 1861.

La notizia di questa sconfitta arrivò a Cialdini il giorno dopo, tramite le parole di uno sbirro ex borbonico ora passato dalla parte dei piemontesi, tale Achille Iacobelli, con queste testuali parole:

“Eccellenza, quarantacinque soldati, tra i più valorosi figli d’Italia, il giorno 11 agosto del 1861 furono trucidati […]. Invoco la magnanimità di sua eccellenza affinché i due paesi citati soffrano un tremendo castigo che sia d’esempio alle altre popolazioni del sud”.

Queste parole valsero una condanna a morte collettiva, perché all’alba del giorno dopo c’erano due colonne di bersaglieri, rispettivamente di 500 e di 400 uomini ciascuno al comando di Negri, De Marco, lo stesso Iaccobelli e Melegari. A coordinare l’azione combinata contro i due inermi paesi c’era lo stesso de Sonnaz.

Il vero massacratore di Pontelandolfo fu, però, Pier Eleonoro Negri, vicentino, che dopo il massacro di Pontelandolfo fu nominato cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, divenendo anche aiutante di campo di Vittorio Emanuele II, il cosiddetto Padre della Patria.

Infine al massacratore Negri fu dato il titolo di conte. Il comune di Vicenza, incurante del grido di dolore, questo certamente vero, dell’eccidio dal Negri perpetuato, continua a onorarlo anche dopo che si è scoperto nel 2004! che fu lui a compiere il massacro, strafottendosene dei morti e della storia, depone sempre una corona d’alloro davanti ad una lapida che lo ricorda.

 

L’ECCIDIO

 

I soldati comandati dal Negri, infatti, non andarono contro i briganti che gli avevano provocati e penetrarono direttamente nel paese di Pontelandolfo.

Misero in salvo coloro i quali, pochissimi, erano dalla loro parte, e iniziarono l’orrenda mattanza. Niente e nessuno venne risparmiato. I soldati uccisero e incendiarono tutto, tranne le quattro case dei loro fiancheggiatori, al grido di “Piastre, piastre!” Perché volevano il denaro.

 

Le torce bruciarono tutti: uomini, donne e bambini che furono arsi nel loro stesso letto e chi tentava disperato di fuggire fu abbattuto come in un feroce e disumano tiro al bersaglio. Le donne furono violentate sistematicamente.

Una ragazza di sedici anni, legata ad un palo di una stalla, venne violata e oltraggiata da 10 bersaglieri, sotto gli occhi del padre, e poi uccisa. Scene che nemmeno nel massacro di Nanchino da parte dei giapponesi si possono rivedere o immaginare. Un contadino tentò di fuggire con il bambino tra le braccia e un soldato glielo strappò dalle mani e lo ammazzò come un cane con un colpo di fucile.

Due giovani liberali: i fratelli Rinaldi che si dicevano dalla parte dei piemontesi e vollero chiedere ragioni di tale orrenda mattanza furono portati al cospetto di Negri e da lui derubati, bendati e fucilati.

Per ore, fino a giorno inoltrato, la strage non ebbe sosta, poi iniziò il saccheggiò e le stesse chiese furono spogliate di tutto quanto vi era di asportabile. A Casalduni gli abitanti riuscirono a scampare alla carneficina appena vennero informati di quanto era accaduto a Pontelandolfo, ma anche nel secondo paese i piemontesi si sfogarono completamente con i pochi civili rimasti uccidendoli, derubandoli di tutto e dando fuoco allo stesso centro abitato.

L’ordine di Cialdini che recava alla lettera queste testuali parole: “Che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra” venne, perciò, completamente esaudito e, infatti, il boia Negri poté comunicare il 15 agosto al governatore di Benevento “Ieri mattina all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni”.

Questa giustizia italiana aveva portato a fronte dei 40 soldati morti in una regolare azione di guerriglia ed uccisi a fuor di popolo, al massacro di un numero che si aggira tra i 900 e i 1000 civili, una proporzione che ha fatto dire a Pino Aprile era doppia rispetto anche a quanto facevano i nazisti con gli italiani durante la seconda guerra mondiale. Con il piccolo particolare che qui erano i liberatori italiani che scannavano altri italiani nella misura di 20 a 1 in una guerra civile che nessuno aveva dichiarato e solo perché non si voleva essere uniti a loro. A delle bestie come loro.

L’eccidio di Pontelandolfo fu talmente abnorme che la stessa classe politica si interrogò, non tanto e non solo sul numero delle vittime e l’orrenda stima e proporzione, quanto sulla nefanda idea che si potesse ammazzare degli altri italiani con lo spirito da macellai e da boia infami che aveva guidato all’eccidio il Negri.

 

Italiani uccisi solo perché non volevano diventare piemontesi.

 

Tra tutti brillò l’intervento del deputato della sinistra costituzionale Giuseppe Ferrari con un discorso che è un esempio di quanto si possa essere onesti individualmente e politicamente, pur andando incontro alla solitudine.

Dopo aver elencato tutte le nefandezze, infatti, le stragi, i saccheggi e le violenze sessuali commesse su quegli inermi paesini, il deputato chiuse con una domanda di pura e semplice realpolitik “Ma il sacrifizio di Pontelandolfo ha forse distrutto i briganti?!”

E quando dall’uditorio giunsero anche risate e sghignazzi di fronte a questa domanda eminentemente politica e cupa, il parlamentare rispose con una delle frasi più tragicamente vere che la storia parlamentare italiana ricordi:

Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi”.

Pontelandolfo, nel 1861, aveva cinquemila abitanti, Casalduni, quasi tremila. Dopo la strage e fino ad oggi, 150 anni dopo, ne hanno la metà.

Ogni anno la campana suona a ricordo di questa tragedia a Pontelandolfo e io ho voluto ricordare questa strage per ricordare che quella campana suona a raccolta di un popolo sconfitto, ma mai domo. Suona per me, per voi.

Suona per tutti noi.

 

 

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