di Cinzia Marchegiani
Un omicidio ancora avvolto nel mistero. Era il 2 novembre 1975 quando il corpo di Pier Paolo Pasolini veniva ritrovato sul litorale romano di Ostia in un campo incolto all’idroscalo. Il cadavere fu massacrato in maniera brutale. Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto “Pino la rana” alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà proprio di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all’evidenza dei fatti, confessava l’omicidio. Raccontò di aver incontrato lo scrittore presso la Stazione Termini, e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, il poeta avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente: da qui, la reazione del ragazzo.
Il 2 novembre moriva Pier Paolo Pasolini e a metà novembre veniva presentato alla stampa “Salò o le 120 giornate di Sodoma“. Il 10 gennaio 1976 il film arrivava nelle sale italiane. Ma su questo film giace un altro mistero su cui si vorrebbero risposte. Il film infatti uscì con un finale diverso perché le bobine erano state trafugate e su cui sembra essere legata la morte dell’artista intellettuale del XX secolo su cui ora più ombre che luci vengono depositate in un atto parlamentare.
Il deputato M5S Massimiliano Bernini primo firmatario di un’interrogazione che ha appena depositato ripercorre proprio il destino delle bobine trafugate di questo film che potrebbero spiegare non solo la motivazione dell’efferato omicidio, ma anche il finale con cui il regista aveva deciso di proporlo al pubblico.
“Nonostante siano trascorsi 42 anni da quella tragica notte, ancora non è stata fatta piena luce sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Naturalmente ci auguriamo che la Magistratura possa, anche in virtù di nuove prove e testimonianze dare un volto e delle pene a colpevoli e mandanti del massacro dell’Idroscalo. Non tutti sanno che quella notte è probabile che il poeta di Casarsa si fosse recato ad Ostia per recuperare le bobine del suo ultimo film ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’ che erano state trafugate e per le quali era stato chiesto un corposo riscatto in danaro. Di fatto il film uscirà con un finale diverso da quello inizialmente pensato dal regista e presente nelle bobine rubate. A nostro avviso accanto alle responsabilità sulla morte di Pasolini è opportuno porre l’attenzione sull’opera e pertanto abbiamo presentato un’interrogazione al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per sapere di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto e se non ritene opportuno assumere ogni iniziativa di sua competenza per agevolare il recupero delle citate bobine originali per riportare alla luce parti di pellicola che sono importanti per definire l’opera di uno dei più importanti artisti italiani di sempre”.
L’On Bernini spiega nell’interrogazione passaggi importanti: “La pellicola su cui si è ormai creato un incredibile e morboso interesse, è considerata il testamento cinematografico di Pasolini, potente atto d’accusa diretto al potere politico ma anche a quello religioso, economico e giudiziario. Salò è un altro tassello del mosaico che l’autore stava componendo negli ultimi anni della sua vita, al pari degli articoli scritti per il Corriere della Sera (tra cui quello pubblicato il 14 novembre ‘74 dal titolo ‘Cos’è questo golpe ? Io so’) e di Petrolio, l’incompiuto romanzo-inchiesta che metteva sul banco degli imputati la classe dirigente dell’epoca. Secondo diverse ricostruzioni degli ultimi giorni di vita del poeta di Casarsa, in realtà Pasolini si sarebbe recato all’Idroscalo di Ostia in quella fatidica notte perché era in accordo con chi in precedenza aveva rubato dalla Technicolor le pizze di Salò per le quali era stato chiesto un riscatto di due miliardi di lire che i diretti interessati si erano rifiutati di pagare; in pratica, gli assassini potrebbero aver usato le bobine come trappola nella quale attirare la vittima. Durante la lavorazione del film, alcune bobine furono infatti rubate e per il montaggio furono usati i ‘doppi’: le stesse scene, girate però da una inquadratura diversa; in occasione dell’ultima riapertura del ‘caso Pasolini’, si è formulata l’ipotesi che Pasolini fosse stato informato del ritrovamento delle suddette bobine sul lido di Ostia, ove egli si recò guidato dal Pelosi, cadendo così nell’agguato che lo uccise. Parrebbe che nelle pizze rubate fosse presente anche una scena finale del film con la partecipazione dello stesso Pasolini.
Nel libro inchiesta di Simona Zecchi ‘Pasolini massacro di un poeta’ (Ponte delle Grazie, 2015) si legge a pagina: 152: ‘E Cinecittà, lo ricordiamo, è anche il luogo in cui vengono ritrovate le ventiquattro pizze dei film sottratti alla Technicolor. L’Unità, inoltre, che informò del ritrovamento in un articolo del 2 maggio 1976, chiarisce come tutte le parti mancanti siano state ricostruite con materiale di scarto’“.
Per questo Bernini e Sarti, i due firmatari dell’interrogazione chiedono al Ministro interrogato se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per agevolare il recupero, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, delle citate bobine originali per riportare alla luce parti di pellicola che sono importanti per definire l’opera di uno dei più importanti artisti italiani di sempre.
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