di Raffaele Menniti
A soli due giorni dall’ inizio delle Paralimpiadi di Rio 16, il mondo dello sport è raggiunto dalle dichiarazioni, che come un fulmine a ciel sereno annebbiano la scena Brasiliana. “Vinco e poi opto per l’Eutanasia”: sono queste le parole di Marieke Vervoort, cento e quattrocentista belga, che dall’ età di venti anni convive con la sua migliore amica, la sedia a rotelle.
La storia. A 14 anni, Marieke avvertì improvvisi dolori al piede; a 17 al ginocchio e tre anni dopo, quasi inesorabilmente dovette arrendersi alla cruda e dura realtà dei “diversamente abili”. Una malattia che lentamente lo sta trascinando nel baratro. Una malattia che nonostante esista, riesce ad essere combattuta dalla grinta dell’atleta.
Questa sarà la sua ultima olimpiade. Dopo ci sarà spazio solo al dolore agonizzante di una malattia canaglia che non lascia spazio alla gioia, se non sportiva. Una vita, che sarà poi segnata dal dolore, dalla lotta e dalla sofferenza.
Vervoort ricerca la gloria olimpica nelle sue ultime gare agonistiche e spera di concludere la sua carriera con un podio. Non si vince solo nello sport, ma anche nella vita. Arrendersi alla vita, così come nello sport, significa rinunciare, perdere ed essere sconfitti.
Marieke vuole rinunciare per non soffrire “Nessun funerale, alla mia morte, ma solo Champagne perché Marieke ha smesso di soffrire.” Vervoort vuole essere ricordata come un eroe. Non stoico, ma gioioso e non sofferente. Le carte sono già firmate. È tutto pronto per l’ultimo atto della vita di Marieke. Insieme al sipario di Rio si chiuderà, probabilmente, anche quello dell’atleta, che continuerà a vivere nei nostri cuori.
Forza Marieke resisti ancora!