di Daniel Prosperi
Nadia Toffa presentando il suo libro “Fiorire d’Inverno”, ha sollevato una querelle mediatica a colpi di botta e risposta anche tra colleghi giornalisti, lei sotto il suo post pubblico su Facebook ci tiene a precisare:
“Lo Dico una volta per tutte per chi non mi conosce. So che la parola dono abbinata a cancro è forte ma se anche solo una persona non sospenderà la vita per il cancro e vivrà sorridendo avrò vinto la mia battaglia. So che cosa dico. Diventa una necessità per andare avanti”.
Quella parola “dono” legata alla malattia più temuta, il cancro non è piaciuta a molti, soprattutto persone che hanno perso i propri figli in un battito di ciglia.
Nadia Toffa non è da crocifiggere, ma da aiutare. Aiutarla a capire che la compassione degli altri è un dono spontaneo che non va ricercato dimostrandosi forti, a tratti stucchevolmente strumentale. Aiutarla a comprendere il peso delle parole, spesso le più semplici utilizzate con banalità e superficialità.
Il tumore non è un dono né della vita né della provvidenza.
È il prodotto delle azioni umane, di uno stile di vita radicalmente cambiato in peggio. Penso ai bambini e alle famiglie nella Valle del Sacco, sul quale proprio la sua produzione fece grazie ad Antonello Livi, un’inchiesta particolare.
Quelle persone ammalate non hanno ricevuto un dono, ma gli effetti delle speculazioni, tra inceneritori e fabbriche obsolete che invece di innestare impianti di filtraggio adeguati e conformi da 300 mila euro, preferiscono pagare sanzioni di poche migliaia di euro.
Di cancro si muore, di un dono no. Per questo si chiama presente.
W i guerrieri delle malattie, i medici che combattono accanto al paziente, gli infermieri che fanno spesso sentire a casa gli ammalati. Insomma, W L’ITALIA. Questi sì che sono doni della vita.
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