di Daniel Prosperi
Un componimento del paroliere Aldo Palazzeschi descrive le fasi della vita, con l’ausilio di allegorie e forme del linguaggio che riecheggiano dei suoni conosciuti. Riprendendo il titolo, possiamo applicarlo alla situazione attualissima della Catalogna. Uno Stato nello Stato, che c’è stato.
Un referendum, quello in perfetto stile padano del “ce l’abbiamo duro”, considerato sul piano giuridico illegale per il quesito non conforme alla Costituzione iberica.
Eppure il Governo centrale-centralista-regale lo ha represso in ogni modo, spezzando quel legame che concorre tra le norme della legislazione e la vita reale, fatta di semplici libertà individuali inviolabili. Solo sulla carta.
Il referendum nasce come strumento di “riferimento” (dal latino refero “riportare, riferire”). Il gerundivo del verbo da un’accezione di moto a luogo, con sfumatura finale (preceduto da “ad” più l’accusativo). Eppure, di finale c’è solo quello della democrazia in senso complessivo del vocabolo. Se il governo è del popolo, è il popolo a decidere secondo le regole che il popolo stesso fa, purché non contrasti con i princìpi.
Invece, stavolta, ha contrastato con i prìncipi (questione di accento) e re, poteri intoccabili a quanto pare. Il governo ha dettato alla polizia di reprimere ogni forma di consultazione.
Paura? Dimostrazione di forza?
O semplice, pura vigliaccheria per le mancanze oggettive ad una porzione del vasto territorio della penisola iberica? Forse, tutte e tre.
Con un’Europa senza europei, con una Spagna senza spagnoli. Tutto questo reprimere dimostra solo i fallimenti di una generazione di incapaci, in ogni parte del mondo, che hanno semplicemente ritrovato negli istinti primordiali, antecedenti alle regole di un ordinamento al quale falsamente si appellano per opportunismo politico, decentrando di fatto il potere rivendicato come centralista.
Il quesito, di fatto, contrasta l’insindacabile indivisibilità della Catalogna, ma sul piano amministrativo il potere politico ha peccato ancora di più, invece di rimediare agli errori. Anche in termini di voti e scambi elettorali, è da coglioni non ascoltare.
Giolitti diceva che gli scioperi vanno sempre autorizzati, perché sono episodi che scemano da soli e si concludono sempre pacificamente se non vi è contraddittorio. Lasciargli svolgere la consultazione, anche in caso di vittoria del sì, avrebbe dato uno strumento in più alla politica per comprendere gli errori materiali e trasformarli in opportunità. Invece si è preferita la via più semplice, quella che segue la legge aristotelica (e aristocratica). Perché non sarebbe stato illegale lo svolgimento in senso stretto, ovvero sarebbe stato semplicemente inefficace il risultato sul piano giuridico.
Ergo, inutile forma repressiva.
Quando diventa forzatamente illegale la libertà di pensiero, vuol dire che tutto ciò che è stato oggetto di conquista, viene snaturato e la libertà lascia spazio alla schiavitù.
Un po’ come avviene in Italia con il lavoro, oggetto di un continuo ricatto morale e generazionale, creato a hoc da chi muove le fila dei nostri burattinai, anch’essi burattini di un sistema malato, contorto, che rasenta stupro e pedofilia del pensiero.
In Spagna, si sta vivendo l’agonia di un popolo ultrademocratico, l’eccesso che degenera in anarchia ed, immediatamente, dittatura.
L’anakyklosis “anaciclosi” ringrazia. E niente, nessuno li ha lasciati divertire…
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