Freedom Interview
di Cinzia Marchegiani
Regione Toscana – Il caso meningite in Toscana sta facendo allarmare molto i genitori, soprattutto quelli che hanno seguito i consigli delle autorità sanitarie facendo vaccinare i propri figli per proteggerli da questa temuta malattia.
Ma in Toscana sta avvenendo un fatto davvero inquietante, i casi di meningite accertati riguardano sia persone/bambini vaccinati e non vaccinati. Le autorità non sanno che dire, ma possono solo consigliare la vaccinazione per ovvietà, ma questo non sta rassicurando più i genitori dei piccoli bambini e anche adolescenti.
Ieri la spirale della meningite ha colpito un bambino di solo 4 anni, già vaccinato per il tipo C nel 2013, lo stesso per cui è stato ricoverato in gravi condizioni nel reparto di rianimazione dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze.
FALLIMENTO VACCINALE, LE LINEE GUIDA DELL’OMS SONO CHIARE, NON E’ UNA LEGGENDA METROPOLITANA
Si leggono molti articoli e autorevoli professori che a riguardo spiegano che comunque il vaccino ha salvato il bambino che ha protratto la malattia per la quale era stato vaccinato (non sempre è immunizzare), ma in questo caso le autorità mondiali che analizzano le pratiche dei fallimenti vaccinali in merito sono chiari: “Secondo l’OMS i criteri fondamentali per poter dare una definizione certa di fallimento vaccinale sono il periodo di incubazione della malattia, l’intervallo di tempo necessario per acquisire l’immunità e la durata dell’immunità stessa”. Se il bambino era stato vaccinato nel 2013, rientrerebbe nel case reporter di “fallimento vaccinale” che non va ridimensionato come una leggenda metropolitana.
FOCUS FREEDOMPRESS
In merito al fallimento vaccinale FreedomPress ne farà presto un approfondimento, quello che oggi preme capire è cosa sta accadendo in questa Regione che per combattere alcune forme di meningite ha incentivato al massimo la campagna vaccinale contro il meningococco C, offrendo alla popolazione la profilassi su larga scala. Nonostante questi sforzi, la meningite continua la sua corsa colpendo indiscriminatamente vaccinati e non vaccinati. Abbiamo interrogato il dottor Girolamo Giannotta che è sempre disponibile ad offrirci un approfondimento alle tante, molte, domande che in questo momento i genitori si stanno ponendo.
- Dottor Giannotta, perché si ammalano anche i vaccinati contro la meningite?
La notizia che un vaccinato si possa ammalare non vi deve prendere di sorpresa perché esistono tanti buoni motivi che consentono di ammalarsi a dispetto della vaccinazione eseguita. Intanto esistono anche per questa vaccinazione i non responders che io vorrei immediatamente togliere dalla scena. Eliminati i non responders, mi accingo ad eliminare anche dalla scena la durata dell’immunità vaccinale che, a detta di molti, pare non sia particolarmente lunga, giusto pochi anni, quanti se ne possono contare sulle dita di una singola mano. Quindi, la mancata risposta immunizzante alla vaccinazione e l’evanescenza dell’immunità eventualmente acquisita sono fatti noti e non meritano ulteriori commenti.
- Come si dovrebbe comportare il vaccino?
Quando si inietta un antigene vaccinale, si spera che esso possa essere in grado di evocare contro di se una risposta immunitaria specifica che culmina nella produzione di anticorpi specifici (cavallo di battaglia dell’immunità adattativa) e nella produzione di cellule della memoria di tipo B a breve e, soprattutto, a lunga vita. Quando si inietta un antigene vaccinale la risposta adattativa prodotta dal nostro sistema immunitario è in genere sufficientemente specifica per quell’antigene e difficilmente gli anticorpi evocati dal vaccino proteggono contro antigeni che in qualche modo sono imparentati con l’antigene iniettato.
Fatta questa breve e doverosa premessa, passo ad analizzare la questione dell’immunità contro i meningococchi ricordandovi che contro di essi si può produrre un’immunità naturale. Anche questa capacità differisce rispetto alle altre malattie prevenibili tramite vaccinazione.
Immunità naturalmente acquisita. Ai neonati l’immunità è conferita dal transfer passivo di IgG, dalla madre al feto, che avviene in gravidanza. Nel pretermine, ovviamente, il transfer è compromesso perché nascendo in anticipo ha un corredo anticorpale meno consistente. Nei lattanti, il picco d’incidenza della malattia meningococcica si verifica quando i titoli sierici degli anticorpi battericidi sono bassi. Negli adulti la riduzione dell’incidenza della malattia correla con l’incremento dei titoli di questi anticorpi.
Anticorpi battericidi si sviluppano in risposta allo stato di portatore nel nasofaringe dopo 10-14 giorni dalla colonizzazione. Passato questo periodo è altamente improbabile sviluppare una malattia invasiva da meningococco o IMD. La risposta nella condizione di portatore non è limitata al ceppo inizialmente trasportato, ma può estendersi ai ceppi eterologhi dei meningococchi patogeni (gruppi A, B, C), cui consegue la produzione di anticorpi specifici di tipo IgG, IgM ed IgA.
La risposta immunitaria può durare diversi mesi dopo che il ceppo trasportato è sparito. Non si sa se la condizione di portatore nasofaringeo porta poi ad una memoria immunologica. Gli anticorpi sono protettivi, l’immunità non è assoluta e la meningite si può produrre anche in soggetti che hanno preesistenti titoli anticorpali considerati protettivi.
- Dottor Giannotta, ci spiega quello che ha appena detto?
Capisco che è come un pugno nello stomaco, ma anche in presenza di anticorpi considerati protettivi si può contrarre la meningite. Come diceva il defunto prof Giorgio Bartolozzi:
“Sfortunatamente nei soggetti suscettibili i batteri, provvisti di capsula, dopo il superamento delle barriere locali, invadono l’organismo rapidamente, spesso in pochi giorni. In questo caso, la risposta delle cellule B della memoria che richiede 5 o più giorni per realizzarsi, dopo il contatto con l’antigene, è troppo lenta eccetto nei casi nei quali il tempo d’incubazione della malattia sia prolungato. La memoria immunologica non garantisce sempre la protezione. Tutto ciò suggerisce fortemente che la memoria delle cellule B è meno importante del livello anticorpale per la protezione a lungo termine nei confronti di un agente infettivo rapidamente invasivo, come il meningococco”.
Quindi, è lapalissiano che per la protezione sicura non possiamo affidarci alla memoria immunologica ma, se la protezione esiste (immunità naturale od evocata dal vaccino) la dobbiamo imputare all’attività sierica battericida (SBA).
- Analizziamo il caso del piccolo bambino ricoverato al Meyer?
La sua terribile sfortuna ci servirà d’esempio, non prima di avergli augurato di vero cuore la pronta guarigione: forza piccolo guerriero. Basandomi sulle notizie di stampa, il bambino sembra abbia 4 anni, è stato vaccinato contro il meningococco C nel 2013 ed ora sono passati 3 anni ed ha contratto la meningite da meningococco C. Verosimilmente, aveva esaurito, o non aveva livelli protettivi di SBA, ed anche se avesse avuto la sua memoria immunologica, il ceppo che probabilmente sarà il solito C ST-11/ET-37 si sarà insediato oltre la mucosa prima di quei fatidici 5 giorni necessari alla memoria immunologica per approntare un livello adeguato di anticorpi protettivi.
- I genitori molto spesso pensano che vaccinando i propri figli possa escludere il contagio o la malattia e quindi dormire sonni tranquilli. Il caso della Regione Toscana però dimostra come sia impossibile rendere sicuri i genitori che hanno aderito alle profilassi indicate dalle ASL di appartenenza. Dottor Giannotta, ma questi vaccini sono stati studiati dal punto di vista dell’efficacia?
Per un vaccino anti-meningococco, con una malattia meningococccica di bassa incidenza, ci vorrebbero decine di migliaia di soggetti per condurre uno studio di efficacia vaccinale. Non volendo investire enormi risorse economiche e tempo consistente, questi studi non sono stati mai eseguiti. Non avendo fatto ciò che sarebbe stato giusto fare, hanno adottato dei surrogati di protezione, che nel caso del meningococco C risalgono al 1969. Qui si parla di generica attività battericida del siero (SBA) che può essere valutata con il complemento umano o con il complemento dei coniglietti. Da questi studi è emerso che la presenza o assenza di una naturalmente acquisita SBA (titolo considerato protettivo ≥ 4 mcg/ml usando il complemento umano) contro il gruppo C nelle reclute militari, è un predittore del rischio di una malattia in un individuo. Poi è stato pure ricercato un equivalente surrogato di protezione usando il complemento del coniglio. Il valore considerato protettivo in questo caso è più alto e per il test rSBA, il titolo deve essere ≥ 8 mcg/ml. Un titolo inferiore segnala la suscettibilità alla malattia, mentre un titolo di 128 correla con la protezione. Se il titolo è compreso tra 8 e 64 servono altre informazioni quali un titolo hSBA ≥ 4 mcg/ml o l’evidenza di maturazione dell’avidità degli anticorpi. Un titolo hSBA ≥ 4 mcg/ml è una base individuale di surrogato di protezione. Un titolo rSBA ≥ 8 mcg/ml è considerato correlato con l’efficacia del vaccini nei bambini piccoli. Entrambi i titoli hSBA ≥ 4 mcg/ml ed rSBA ≥ 8 mcg/ml, sono surrogati di protezione a breve termine.
Nell’esperienza britannica, i titoli rSBA svaniscono rapidamente nei piccoli bambini dopo le tre dosi di vaccino eseguite nel primo anno di vita. Poi, confidare nella memoria immunologica come predittore di protezione a lungo termine è un errore, poiché in questo caso è critica la persistenza di SBA.
Riassumendo, oggi possiamo contare sui surrogati di protezione a breve termine che si basano sui titoli SBA, ma la memoria immunologica a lungo termine non garantisce nulla in assenza di SBA. Inoltre, per i gruppi capsulari A, B, W-135 ed Y non sono stati stabiliti surrogati di protezione, sebbene ci siano alcune evidenze che la SBA sia un marker rilevante di laboratorio.
- Si può scoprire in anticipo quale vaccinato è a rischio meningite?
Credo che da quello che ho detto ricercare il valore di SBA a distanza di tempo dopo la vaccinazione sia qualcosa che si possa e si debba fare, per cercare di capire quanto dura l’eventuale protezione vaccinale. Si potrebbero fare dei dosaggi annuali dopo la vaccinazione ben sapendo che con molta facilità entro 5 anni dalla vaccinazione non c’è più immunità, se non arriva l’aiuto dell’immunità naturale che emerge dalla condizione di portatore, che è condizione rara nell’infanzia.
- Come si fa a riconoscere questa malattia, qual è la clinica delle meningiti?
Molto spesso la meningite batterica è il risultato della disseminazione ematogena dei microrganismi che partono da un sito distante. La batteriemia (presenza dei batteri nel sangue) usualmente precede la meningite od è concomitante. Una nicchia ecologica per il meningococco è quella del nasofaringe dell’uomo e da qui il meningococco può entrare nelle cellule epiteliali e diventare prontamente invasivo. Arrivato nel sangue diffonde facilmente e si moltiplica velocemente. Scatena una fortissima produzione di molecole pro-infiammatorie, resiste alla lisi operata dal complemento, sequestra il fattore H che controlla il complemento lasciando i tessuti privi di questa molecola regolatoria, che in parte spiegherebbe così il poderoso interessamento vascolare che caratterizza spesso la IMD, fino al drammatico quadro della setticemia fulminante per emorragia massiva delle ghiandole surrenali. Ma quello che interessa di più è arrivare alla diagnosi precoce quando la gravità del quadro non è fulminante. È evidente che le forme fulminanti lasciano poco tempo alla diagnosi ed alla terapia. Molto spesso si tratta di ceppi della linea ipervirulenta C ST-11/ET-37 che è gravata da un alto tasso di mortalità.
- Dottor Giannotta, torniamo anche alle forme meno severe, dopo aver accennato alle forme gravi.
Innanzitutto, l’esordio della meningite acuta ha 2 pattern predominanti. Il più drammatico e, fortunatamente, meno comune, contempla un brutale inizio con i sintomi di un quadro di shock rapidamente progressivo con porpora ed ecchimosi (macchie rosse sulla pelle che non scompaiono alla pressione esercitata sulla cute con un vetrino o con un bicchiere di vetro a casa del paziente, mezzo di medicina di campagna decisamente efficace), coagulazione intravascolare disseminata, ridotti livelli di coscienza e convulsioni che spesso esitano nel coma progressivo e si concludono con la morte del paziente entro le 24 ore dall’esordio.
Per nostra fortuna, e per fortuna relativa del paziente, molto spesso l’esordio della meningite è preceduto da diversi giorni di febbre accompagnata da sintomi respiratori alti (raffreddore, tosse, lacrimazione, mal di gola) o da disturbi gastrointestinali (vomito, diarrea, dolori addominali) seguiti da segni non specifici di infezione del sistema nervoso centrale, quali, sonnolenza eccessiva ed irritabilità. È qui che deve scattare l’allarme: ai primi segni di interessamento del sistema nervoso. Naturalmente, scattare l’allarme non significa andare in panico, ma procedere con la semeiotica medica. È chiaro che si tratta nella prima fase di sintomi simil-infuenzali che senza interessamento del sistema nervoso non pongono il sospetto clinico di meningite. Ci si deve fidare e discriminare essenzialmente su due fattori di comune riscontro anche nelle malattie banali dei bambini: sonnolenza eccessiva ed irritabilità. Ma è sull’impressione clinica e sull’elevato sospetto diagnostico che dobbiamo contare, integrato da una buona semeiotica che dobbiamo porre in essere.
I segni dell’irritazione delle meningi (rigidità e dolore nucale) possono anche mancare nel piccolo lattante, dove è più facile trovare la testa che cade e la fontanella bregmatica bombata. Nel bimbo più grande si deve ricercare il segno di Kernig (si porta a 90° l’anca e poi si estende la gamba che provoca dolore) e quello di Brudzinski (si flette il collo del paziente supino e si verifica una flessione automatica del ginocchio). Da notare che questi due segni possono non essere sempre presenti fino ai 18 mesi di vita. In realtà, febbre, mal di testa e rigidità nucale sono presenti solo nel 40% degli adulti con meningite batterica. Le convulsioni sono presenti nel 20-30% dei casi di meningite e se si presentano entro i primi 4 giorni non hanno un pessimo significato prognostico.
- In un mondo dove la medicalizzazione (con le vaccinazioni) cerca di proteggere i nostri figli da malattie temutissime, la clinica, il saper riconoscere tempestivamente le malattie, ritorna al centro della scienza medica dottor Giannotta. Insomma nulla è prevedibile se non la fortuna di incontrare un bravo medico, in questo caso un pediatra, per salvare una piccola vita umana.
A noi spetta l’ingrato compito di scoprire il secondo pattern nel più breve tempo possibile ricordando di valutare con più attenzione la sonnolenza e l’eccessiva irritabilità del bambino, che spesso esiste anche in assenza di malattia specifica. Il resto è pertinenza della medicina ospedaliera.