di Romeo Cartaginese
Sanremo- “Ti sembra strano lo capisco, ma era passato tanto tempo” da quando le vele graffiate dell’ugola Atzei avevano attraversato trasmissioni televisive e cori affollati per approdare a un porto sicuro chiamato Sanremo. Una stiva di melodie e accordi accumulati in Bianco e Nero (2015), attraverso collaborazioni e duetti, da scaricare e spargere per le vie commerciali italiane, come oppio per fans troppo bramosi di materiale discografico.
È la favola di Bianca Atzei e del sangue di Sardegna che pulsa nelle vene di Milano, spaccando le arterie delle voci limpide attraverso un timbro singolare contenuto in un corpo delicato e fragile. Vestita di veli e intrecci floreali, affronta il suo secondo Festival di Saremo con la leggiadria di una ninfa sulle acque di un ruscello già conosciuto. Sicura sul suo cavallo musicale migliore, ripercorre i passi dell’amore, nel perfetto stile del bel canto sanremese, evocando l’eco di un Festival anni ’60 che riecheggia all’ Ariston nella fotografia lenta, fra la chiassosa sperimentazione moderna.
Distinguersi nell’ eccesso della continuità stilistica, senza la costruzione di sovrastrutture musicali decorative, è la peculiarità che conduce alla mappa per scoprire la nicchia musicale dell’artista. Una mappa circolare da fruire in solitudine, identificandosi nei racconti dei sentimenti ma, anche, un grido a suon di note crescenti da spaccare le casse delle automobili quando si fa Arido il tempo “in un giorno di Settembre”.
Quello che resta, quando le note si riposano, è la voglia di riavvolgere il nastro dei flash-back andati avanti a fotogrammi mentali, sulle rotaie graffiate dalle corde vocali e rivivere ancora i frammenti delle esperienze fiorite e appassite. È un viaggio senza fermate che non sazia i passeggeri nemmeno quando le semplici parole sembrano essere piume scontate che non tagliano i vestiti. Le gocce lente di note e vissuto, all’ improvviso, scagliano le emozioni in un fiume dove cercare l’unica roccia conosciuta contro cui sbattere per salvarsi.
Se la musica può salvare il mondo, la critica, spesso, non salva la musica. L’ostilità ingiustificata e dannosa di una fetta della critica ufficiale si adagia su materassi di pregiudizi e preconcetti legati a soap-operas discografiche. L’artista, per difendersi dai detrattori, regala petali di note fra spine dolenti di graffiato, espulse attraverso l’unica arma imbattibile in suo possesso: i proiettili del talento. Mentre la sala stampa del Festival minaccia l’ascesa della cantante con la scure dei voti, l’interprete di Ora esisti solo tu fortifica le sue scarpe sul suolo musicale grazie al calore dei fans sui social networks e al temuto iTunes, roccaforte delle vendite musicali.
Su numeri e successi è edificato il palazzo sonoro Atzei, costruito da hits fra le quali La gelosia, La paura che ho di perderti e L’amore vero, e strutturato con ascensori di collaborazioni (continuativa quella con Francesco Silvestre) che hanno fatto salire la voce dell’artista ai piani alti del panorama musicale italiano, molto velocemente, introducendola al grande pubblico dei giovani. Il sublime brano Il solo al mondo, in gara a Sanremo nel 2015, ha contribuito a rinforzare il cemento leggero e armonioso dello stile di Bianca Atzei, spogliando l’artista e la canzone da eccessi musicali e accessori sartoriali di contorno.
La solidità dell’anima della voce, a tratti struggente, è l’essenziale pulsazione di linfa musicale che avvolge il pubblico nella carezza di un tempo migliore. Un tempo dell’attesa, come quella fra il primo e il secondo album, in cui le tracce del primogenito lavoro fanno il rumore dei mattoni di una casa solida, sovrapposti l’uno sull’altro per erigere pareti spesse, dipinte con i colori della musica e incorniciate da righe in Bianco e Nero.