mercoledì, 2 Aprile 2025

Aspiranti alla Resurrezione senza aver vissuto. Orwell e il grande fardello sono ancora tra noi

 

di Daniel Prosperi

Venticinquesimo giorno. Come un diario di bordo che custodisce le nostre emozioni più recondite. La vita si manifesta ancora più “violentemente” quanta più un’attenzione viene data alla “non vita”. È inversamente proporzionale il tempo, quello che abbiamo sprecato prima, che pensiamo di sprecare adesso con giornate tutte uguali.

C’è stato donato ora il tempo di riflettere, un lusso in un mondo con esistenze monetizzate.

“Il tempo è denaro” citando un famoso proverbio, ma di certo c’è soltanto il dubbio di averlo speso male, malissimo. Non c’è bisogno di scrivere chiaramente di cosa stiamo trattando.

È stata bloccata la società contemporanea, che dal 1945 in poi non ha più conosciuto la parola “sopravvivenza”. Sentivamo le notizie dal Vietnam, dal Medio Oriente, più recentemente da Siria e Libia. Ma non avevamo idea percettiva di ciò che stavano vivendo milioni di persone, solo perché lontani dal mondo, quello nostro da “occidentali’s karma”. Chiusi dietro uno schermo a indignarci con l’orologio del momento opportuno per avere i famosi 15 minuti – diventati quotidiani – di Andy Warhol.

Siamo influencer, e d’influenza, ahinoi, si muore. Lo abbiamo scoperto ora, però, anche questo. L’influenza e tutte le complicanze uccidono, da sempre. Se tali elenchi aggiornati non vengono preannunciati giorno per giorno, restano dati statistici per ISTAT. Un po’ come succede con le calamità naturali, che diventano classifiche di sfida tra un Comune e l’altro per la gara a chi merita di più.

I nostri fratelli della bergamasca meritavano altro. Meritavano un’attenzione maggiore. Meritavano le stesse armi dei paesi confinanti. Ci dovremmo ricordare dell’appello gridato da Alzano Lombardo all’attivazione delle prima zone rosse.

Quel Comune fu escluso, insieme a Nembro e Bergamo stesso, con il beneplacito di chi come Giorgio Gori invitava di far rimanere tutto aperto. Stiamo parlando dell’ultima settimana di febbraio 2020, non di un’immagine tratta da un film di Hollywood.

Ma si sa, dimenticheremo anche questo. C’era un film “Dimenticare Palermo” del compianto neorealista Francesco Rosi, che fornisce una metafora perfetta: Carmine Bonavia, dimenticando Palermo dove aveva passato il viaggio di nozze, tornando a New York trova la morte per aver sottovalutato le capacità multitasking della Mafia. Lui, candidato a sindaco di New York, voleva togliere il racket dello spaccio, legalizzando la droga. Nonostante le vicissitudini, lui non mantiene la parola d’onore, e viene ucciso non appena preannuncia il provvedimento.

All’opportunità, si continua a introdurre l’opportunismo, anche questa volta.

I virologi si contraddicono tra loro, l’OMS si differenzia per le continue cappellate sbugiardate dagli istituti superiori di Sanità di ciascun Paese. Sembra una puntata di “Me contro Te”, il programma simboli dei bambini nella quarantena che li sta allietando. Ma qui è in gioco la vita umana, la sopravvivenza economica, la integrità sociale. E nessuno nell’intero pianeta ha finora pensato di provare a immaginare scenari di cogenza di questi aspetti. Ci si è limitati, come al solito, ad intervenire timidamente con misure utili alle pompe funebri.

L’aspetto sociale, quello più importante prima di quello economico, con il sommerso di violenze le quali si stanno plausibilmente manifestando tra le mura domestiche, l’istigazione al suicidio da terrorismo mediatico, l’assenza di comunicabilità emozionale, diffidenza nei medici per altre malattie a tal punto che il 70% non si rechi più nelle strutture, sarà il più duro, il più difficile, il quasi impossibile da CURARE.

Perché la psicologia individuale è stata annientata dalla psicosi collettiva.

Se avessimo dato voce agli esperti, come il dottor Giannotta, il primo in Italia ad aver spiegato con analisi approfondita il virus senza andare in TV due volte la settimana da Fazio, o il professor Lopalco, sottovalutato per le sue esternazioni più vicine alla verità che sta sempre nel mezzo e poi rivalutato da meritevole dell’invito a più trasmissioni, ebbene oggi già ne saremmo stati fuori. Ma non fuori di testa, proprio fuori la, dove continua ad aspettarci il mondo, dove siamo semplici ospiti diventati indesiderati.

I politici, invece, stanno lì, sempre collocati in quella sorta di iperuranio etereo che gli permette di sovrastare la plebe, il terzo Stato. C’hanno distrutto le eccellenze, forse per un pizzico di invidia da parte di chi ne finanziava le campagne elettorali, ma le stesse eccellenze a cui si sono aggrappati per puro spirito di paura (iniziale), non sono stati vendicativi. Hanno arginato magistralmente gli errori legislativi intercorsi anche dal 15 gennaio, quando tutto il mondo sapeva dell’esistenza di un nuovo Coronavirus, che si diffonde alla pari contagiosità di un raffreddore ma diventa letale su individui già provati e debilitati sui quali, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, sono state somministrate terapie antibiotiche anziché quelle virali, più idonee per nozione, consigliate tra l’altro dall’AIFA stessa, con errori annessi dallo stesso ente con la sperimentazione di interferone beta 1 a, poi revocarla una settimana dopo.

Sono atti pubblici, in gazzetta ufficiale, nulla di complottistico o inventato.

L’unica cosa possibile, ora, è la creazione di una vita conciliabile con il pianeta. Abbiamo già avuto abbastanza di quello che riusciamo a procurare oppure dobbiamo ancora esasperare le sperimentazioni capitalistiche?

Un’occasione per essere migliori c’è stata consegnata. Non è importante chiedersi se sia stato tutto creato artificiosamente, è il caso di domandarsi se la vita di prima era veramente la normalità perché è quella pseudo-normalità che c’ha portato ad essere distanti. Anche se ripetiamo come un mantra “andrà tutto bene”, “stiamo a casa”, “ne usciremo presto”, non dobbiamo assolutamente permettere di perdere questa opportunità. Altrimenti, saremo solo nuovamente numeri da conteggiare nei morti quotidiani.

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