venerdì, 22 Novembre 2024

Africa, le urla strazianti dei bambini: “Acqua, acqua… abbiamo sete”

di Christian Montagna

Capo Verde – Urla strazianti, innocenti, di chi dalla vita ha avuto poco o niente: sono le voci dei bambini dell’isola di Sal, nella repubblica capoverdiana. Chilometri di paesaggi e incantevoli scenari naturali, migliaia di persone ridotte alla sopravvivenza. Da una parte, il lusso, i villaggi turistici e le strade dello shopping; dall’altra, la povertà, la fame. Due facce della stessa medaglia che insieme stonano esageratamente.

Accade così che durante un’escursione, quella tipica da turista per intenderci, incontri per caso tutto ciò che hai sempre immaginato o sentito, ma, vederlo, fa male davvero.

Palmeira, centro storico a pochi km dalla centralissima Santa Maria, offre lo scenario raccapricciante che mi accingo a raccontare. Favelas a cielo aperto aleggiano ai lati delle strade; bambini deperiti, malati e in condizioni estreme alla ricerca di un pezzo di pane e un po’ d’acqua. Sì, perché nelle catapecchie di fortuna costruite con scatoloni e tessuti, l’acqua non c’è, così come la luce. Così come nelle case. Un bene che a noi sembra così scontato, a Sal, è un bene di lusso.

Ti chiedi come sia possibile, insistentemente, ma una risposta non riesci a trovarla. Forse, non c’è. Senti e risenti quelle urla strazianti che ti arrivano dritte al cuore, ti senti impotente, quasi colpevole. E allora, cerchi di renderti utile come puoi, strappando anche solo per un giorno un sorriso a quei bambini condannati dalla vita ad un’esistenza infelice. Purtroppo, l’indomani per loro sarà sempre uguale. Nonostante tutto, sorridono, ti abbracciano e ti baciano come sei ti conoscessero da una vita.

Vai a visitare le scuole. E che scuole. Stanze adibite a ludoteche, con pochi giochi da condividere in tanti. Ognuno, silenziosamente, attende il suo turno per giocare: solo pochi minuti e il gioco passa ad un altro bimbo. Oratori di fortuna allestiti negli edifici ecclesiastici e genitori che si affannano a portare al sicuro i bambini almeno per un quarto di giornata. Nel frattempo, si precipitano tra le strade a vendere tutto ciò che gli può portare guadagno. E’ la stagione del turismo, bisogna darsi da fare. Ma cosa può vendere chi non ha nulla? Si improvvisano falegnami, artisti, realizzano souvenir, vendono frutta e ortaggi, esibiscono ciò che la loro cultura gli ha dato. Massaggi, acconciature secondo l’uso della tradizione, pur di arrivare al giorno dopo.

In un attimo, è sera. I bambini escono dalle scuole e tornano a mendicare per strada, dove sono stati nei giorni in cui le scuole erano chiuse. Ti chiedono beni di prima necessità con quegli occhi che a parole non si possono descrivere. Aiutano i genitori nei lavori o semplicemente attendono tranquilli di rientrare in quelli che per loro sono porti sicuri, le case.

E così, sopravvivono, nell’ attesa di un futuro migliore, quello che la vita a nessun costo gli ha voluto donare; quello che la prepotenza umana gli ha definitivamente sottratto.

Sono i bambini di Sal, hanno sete, chiedono acqua, solo acqua.

Ormai, son già pronti a tutto.

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